Lo yoga può essere uno straordinario strumento terapeutico.
Ho lavorato per quasi 25 anni con allievi con varie patologie (in questo caso ci interessano quelle muscolo scheletriche) e dal mio punto di vista queste sono le cose importanti:
1) una reale esperienza delle Asana.
Esperienza non vuol dire studio teorico, non vuol dire pratica superficiale. Deve essere una conoscenza profonda delle pose, nelle loro varianti principali.
2) una ottima conoscenza dell’anatomia. Non siamo dottori e non vogliamo esserlo, ma non puoi approcciare un problema reale senza sapere bene di che si parla.
3) un lavoro individuale.
Per un problema specifico, la pratica deve essere sartoriale, cucita addosso alla persona. Troppo spesso sento il mantra “fai fino a dove ti senti”. Se da una parte è vero che questa frase esprime buon senso per la maggior parte delle persone, dobbiamo comunque considerare che quando c’è un problema reale spesso la realtà è che la persona non si sente, non è stata abbastanza in contatto col suo corpo da ascoltare i messaggi sottili. Si è dovuto passare da un senso di “presenza” sulla parte, alla tensione, al dolore, al dolore cronico, alla patologia. (questo ovviamente non riguarda incidenti o traumi).
Quindi il primo ruolo di uno Yogi che trasmette le Asana (come vedi non dico insegnante) è aiutare la persona a percepirsi.
4) la capacità di comprendere quando lavorare in un modo o in un altro.
Questo punto è un po’ l’unione e la realizzazione dei primi due, ovviamente, ma alla fine il concetto è semplice. Possiamo lavorare:
– con una pratica volta a rilassare la zona;
– con una pratica volta ad allungare la zona;
– con una pratica volta a prendere coscienza della zona;
– con una pratica volta a respirare sulla zona;
e da ultimo, e devo dire troppo spesso non considerato nello yoga,
– con una pratica volta a rafforzare la zona.
Ovviamente con tutta probabilità, la pratica totale dovrà comprendere in un modo o in un altro tutti questi aspetti, però è vero che spesso l’ultimo è meno considerato degli altri.
Secondo la mia esperienza, rilassare un muscolo contratto, anche se sembra la cosa più logica da fare a volte nasconde una visione superficiale.
Come mai quel muscolo è in tensione?
E’ contratto perchè ci ho lavorato male o ho messo la zona in una posa difficile, oppure è contratto perchè la parte è debole e il corpo invece ha bisogno di tenuta?
Ovviamente queste due situazioni, seppur presentino una sintomatologia pressochè identica, vanno approcciate in due modi opposti.
Il senso di questo discorso è molto semplice, non scordare mai la struttura, perchè la struttura tiene e sostiene, e qualora dovesse mancare, il corpo metterà in atto dei comportamenti per sopperire a questa mancanza. E allora cosa può succedere se tolgo una tensione che in realtà è una strategia utile, senza sostituirla con una struttura forte?
A questo proposito, il prossimo anno implementeremo una classe che avrà queste caratteristiche: lavorare con una pratica sartoriale, cucita sulla persona, per provare a migliorare le condizioni fisiche.
rimanete in ascolto per i dettagli! 😉
come sempre, la pratica e l’approfondimento sono fondamentali.
namaste