eccoci per il terzo appuntamento con gli Yoga Sutra di Patanjali, e ovviamente con il terzo sloka.
Tada drashtuh svarupe avasthanam
“A quel punto il veggente dimora nella sua natura essenziale”.
Dopo aver descritto cosa è Yoga (quasi da un punto di vista tecnico), Patanjali ci mostra la frase che adoro di più degli Yoga Sutra.
“Tada” significa “allora”, “a quel punto”, e si collega alla frase precedente.
In realtà, possiamo dire che in questa frase lo Yoga arriva alla sua descrizione più profonda. Infatti, dopo aver descritto una metodologia (lavorare sulle chittavrtti), si descrive il significato spirituale.
Adesso è il momento di riprendere la traduzione “base”.
Per favore, non immaginate nemmeno per un istante che “il veggente” voglia dire qualcosa tipo Nostradamus.
In realtà non è nemmeno sinonimo di saggio, o yogi.
Patanjali non parla in generale, descrive un’esperienza, in qualche modo “scientifica” e sicuramente pragmatica.
Drastu origina dal verbo “dr” che vuol dire vedere.
Svarupe è “forma” (rupa) e “sua propria” (sva).
Avastanam è risiedere, mantenersi (shta è “stare in piedi”)
Partiamo da quest’ ultimo termine.
Possiamo girare la frase e chiederci:
“cosa resta in piedi quando tutte le vrtti sono placate? Cosa rimane?”
Parlare degli Yoga Sutra è parlare del viaggio della meditazione, non tanto dello Yoga fisico o delle posizioni.
Non è un caso se Patanjali non descrive nemmeno una posa ma lascia il termine “asana” senza ulteriori analisi.
Nella pratica yoga ci trasformiamo, per così dire, da cani da caccia a cani da guardia.
È un esempio che facciamo spesso a meditazione, e vuol dire semplicemente riconoscere la natura della nostra mente “comune”.
Quello che accade normalmente è questo: nel momento in cui arriva una sensazione, interna o esterna, si forma un pensiero, e immediatamente, la nostra mente salta da un pensiero all’altro, come un cane da caccia che segue l’odore della preda, perdendosi nel bosco.
Una analisi nemmeno troppo approfondita ci farà riconoscere questa realtà, che ci accompagna nella vita di tutti i giorni.
In questo senso possiamo dire di essere preda dei nostri pensieri e delle nostre sensazioni.
Al contrario, possiamo fermarci, come si ferma un cane da guardia, avere il nostro territorio di osservazione (spesso usiamo il respiro, ma può essere qualunque cosa) e rimanere all’erta…
A quel punto possiamo divenire consapevoli della realtà esterna e soprattutto di quella interna.
Ecco, l’apice di questa esperienza è la realizzazione della natura profonda della nostra mente.
A questo si riferisce il terzo sloka.
Quando entriamo nel profondo silenzio, la nostra vera natura si rivela, e scopriamo che cadono tante maschere, tante abitudini, tanti pensieri.
Scopriamo come la nostra tendenza sia quella di reagire invece che agire.
E non reagiamo agli eventi esterni, alle azioni o alle parole degli altri, e nemmeno ai nosti pensieri.
Reagiamo alle sensazioni che tutte queste cose ci provocano!
La consapevolezza di questa verità può cambiare in profondità la nostra esperienza nel mondo, può cambiare la nostra vita!
Rimanere osservatori ci consente di creare spazio.
In questo spazio, aumenta la consapevolezza.
E il viaggio non finisce qui.
Alcune traduzioni dicono “a quel punto il soggetto riposa nella sua essenza”.
Mi permetto di non condividere per nulla questa traduzione, ed ecco il motivo:
Senza scrivere un trattato di meditazione, possiamo accennare come l’osservazione dei pensieri porti ad una domanda fondamentale: da dove nascono i pensieri? Sono io che li penso? E se non sono io, che cos’è quella cosa che chiamo io?
Le più alte forme di meditazioni arrivano a questo punto.
Il punto in questione, e vorrei davvero che lo provassi di persona, invece di leggerlo, è che nell’osservare in profondità i processi interiori comprendiamo come ci sia il pensiero, ma non colui che pensa. C’è la sensazione, ma non colui che la sente. Soltanto una “cosa” che chiamiamo consapevolezza. Dov’è allora il soggetto nella traduzione di prima? Chi è che “riposa nella sua essenza”?
E l’io, questo essere strano che sentiamo seduto al centro della nostra testa, che guarda il mondo dai nostri occhi e che è al comando del nostro corpo, questo individuo a cui ci aggrappiamo con tutto noi stessi perché, ci pare, è ciò che siamo, in realtà è meno stabile o fisso o delineato di quanto ci piacerebbe.
E se non lo senti, o non sei d’accordo, sappi che è normale che sia così, ma che questa realtà è disponibile per chiunque voglia fermarsi ad osservare!
Ti aspetto per la meditazione, al di là delle parole questa è l’unica cosa che conta…
Namaste
m.