ecco un articolo su Yoga Destrutturato che ho scritto per la rivista “appunti di viaggio”, che ha tema spirituale.
Spero vi piaccia!
Yoga Destrutturato
Nel panorama moderno la parola Yoga è oramai conosciutissima.
Non solo ogni palestra ha il suo corso, ma anche nella pubblicità e addirittura nella musica leggera, la cultura orientale è presente e anzi è diventata, come si dice, mainstream.
Al di là delle proposte evidentemente commerciali (yoga con i pesi, yoga nella sauna, yoga per dimagrire), da sempre esistono diversi stili di yoga.
Ogni insegnante in qualche modo interpreta la Via, nel suo linguaggio e per la sua comprensione, rendendo accessibile l’insegnamento ad un numero più alto di persone: alcuni si troveranno più vicini ad un modo di esprimere lo Yoga, altri avranno bisogno di un modo diverso. Uno stile che nasce in questo modo segue una legge naturale: siamo tutti differenti.
D’altra parte, se la codificazione del nuovo stile nasce per una forma di ego, per emergere nel supermercato yoga e new age, ovviamente si parte da un punto meno virtuoso e, credo, meno profondo.
È in quest’ottica che presentiamo un approccio diverso, che si chiama Yoga Destrutturato.
A noi non interessa creare uno stile; lo stile è una cristallizzazione e rischia di limitare la crescita.
Per non avere limiti, ci sembra importante superare il concetto di stile ed andare in profondità, verso i princìpi (“arches” in greco) che ci sono dietro.
I princìpi sono “leggi”, o regole, che danno vita ai diversi stili.
Lo Yoga della tradizione è uno dei “darsana”, le sei vie filosofiche dell’india antica.
I darsana erano scuole di pensiero e tradizioni filosofiche degli approcci al mondo e al trascendente.
Da sempre in India la ricerca della realtà ultima ha dato vita a dei fantastici punti di vista, creando un ambiente favorevole sia per le disquisizioni filosofiche che per la ricerca ascetica, molto più pratica e pragmatica.
È in questo ambiente che nasce la tradizione Yoga, che ha, rispetto ad altre vie simili, una caratteristica fondamentale, una intuizione geniale: per accedere al trascendente, e per la comprensione della realtà mondana e sopramondana, si basa sul corpo.
Il corpo diventa la via preferenziale per accedere alla coscienza e per intuire la vera natura del Sé.
Cercando di rimanere su questo filo sottile, Yoga Destrutturato non è uno stile, ma indica semplicemente un modo di affrontare la pratica di questa splendida disciplina.
Destrutturare è un termine molto importante per noi.
Vuol dire prendere questo corpus di conoscenza incredibile che ci giunge dal passato ed analizzarlo, scomporlo, praticarlo con costanza, passione ed intelligenza, andando in profondità a scoprire cosa funziona e perché funziona.
Dietro questo atto c’è un grande amore, che viene da ciò che lo Yoga ci ha donato negli anni e dalla voglia di dare indietro un po’ di questi doni al più alto numero di persone possibile, nel miglior modo possibile.
Per fare questo, decidere di ricercare i princìpi base è stato di grande aiuto.
Approfondire i principi ci consente di “giocare” col corpo, scegliere con consapevolezza come lavorare e quale vibrazione raccogliere alla fine.
Questo è uno degli aspetti caratteristici dello Yoga: uno stesso movimento, una stessa posa, fatta in modo diverso, con un dettaglio diverso, con un respiro o un intento diverso cambia completamente la vibrazione finale che ne traiamo.
Non è fantastico?
Possiamo uscire da una pratica Yogica e sentirci fisicamente energici, oppure mentalmente quieti e aperti, o spiritualmente beati, o con mille altre “colori” diversi del nostro stato fisico, mentale, emotivo e spirituale.
Negli “Yoga Sutra” di Patanjali, testo base classico dello Yoga, apprendiamo che questa disciplina è composta da otto parti, o “anga”, che sono:
– Yama e Niyama (precetti da seguire e indicazioni morali),
– Asana (le posture, che rappresentano la parte più conosciuta oggi),
– Pranayama (tecniche di respirazione, ma più precisamente modalità per controllare l’energia vitale del corpo),
– Pratyahara (tenciche di introspezione),
– Dharana e Dhyana (tecniche di concentrazione e meditazione)
– Samadhi (l’assorbimento dell’io nel Sé più alto).
Oggi si dà una grande importanza alle Asana e al loro aspetto più fisico, gli altri “anga” sono completamente tralasciati o, al più, accennati.
Ma siamo sicuri che questo sia il modo migliore di praticare? Quanto ci perdiamo dello Yoga tradizionale? E che valore ha la ripetizione di una tecnica senza una comprensione profonda?
Nello Yoga Destrutturato ogni posa, ogni tecnica, ogni “anga” è visto come un campo da gioco.
Lavorare con i princìpi vuol dire entrare in questo campo e decidere a quale gioco giocare, e impostare le regole per il massimo divertimento.
Facciamo un esempio concreto e scegliamo una qualunque posa di Yoga: immaginate di praticare la posa del guerriero, conosciuta come Virabhadra I.
L’esecuzione base è la seguente: in piedi con la gamba sinistra dietro di un bel passo e la destra avanti; la sinistra rimane tesa, la destra che è davanti si flette, il ginocchio grossomodo a 90 gradi.
Le braccia si allungano al cielo con le mani unite, e anche il volto si solleva, lo sguardo alle mani, e oltre.
Un primo modo di “giocare” con la posa ad esempio potrebbe essere quello di decidere di lavorare fisicamente – questo è il modo oggi più comune – e sottolineare l’allineamento delle varie parti del corpo, e magari correggere difetti posturali, oppure lavorare sui muscoli e sulla fascia, in tonificazione e in allungamento.
È vero che lo yoga ha come principale occupazione il sé e la struttura della coscienza ma, come abbiamo detto, è anche vero che il corpo ha un ruolo importante in questo viaggio.
Infatti la salute fisica è un requisito fondamentale per il benessere, e pure per la via spirituale, e la sensazione di benessere che si trova nel contatto profondo con il proprio corpo è davvero grande!
Possiamo prendere la stessa posizione e lavorare, ad esempio, sul senso di radicamento della posa, apprendendo uno dei princìpi base dello Yoga: la capacità di cedere, di arrenderci.
A quel punto, la connessione con la terra ci aiuta ad eliminare tensioni profonde, a sentire il contatto con l’energia della Grande Madre, la terra, e collegarci al suo nutrimento.
Possiamo lavorare su quella che si chiama in gergo “anatomia sottile”, portando la nostra coscienza sui vari Chakra – ruote di energia – o sui canali di energia che la posa attiva.
Oppure ancora, possiamo collegarci all’archetipo stesso del Guerriero, uno dei più antichi e importanti nell’essere umano.
In questo caso lo Yoga diventa quasi un atto magico: nel richiamare su questo piano di esistenza un archetipo, che sia il Guerriero, l’Albero, la Montagna, o la Tigre, il praticante richiama anche le qualità dell’archetipo stesso.
Ci sono mille altre possibilità, ognuna collegata a dei princìpi specifici; questo rende la pratica un viaggio infinito di ricerca e approfondimento.
Il senso di questo viaggio è quello di esprimere con il corpo la nostra spiritualità; così la pratica, e ogni gesto della nostra vita, diventa preghiera!
Per questo Yoga, non serve essere sciolti o flessibili, basta essere umani.
E così come la pratica fisica ha i suoi princìpi e il suo viaggio, anche per la meditazione avviene la stessa cosa, d’altra parte come potrebbe essere differente? L’uno è lo specchio dell’altra.
In questo campo, la parola destrutturare assume un significato più sottile: si riferisce al lavoro sull’ego, a quell’idea taoista di togliere ogni giorno qualcosa per arrivare all’essenza.
Pensiamo alle costruzioni e alle sovrastrutture che ci portiamo dietro, a livello sociale o familiare.
Quanto i nostri comportamenti risentono di quel giudizio interiore, che ha la voce dei nostri genitori, o ancora più in profondità, la nostra stessa voce.
Queste impostazioni sono estremamente radicate in noi, talmente tanto da confonderle con la nostra natura.
Eppure sono proprio queste impostazioni le maggiori responsabili delle nostre sofferenze.
L’oscillare tra gioia e dolore viene per lo più vissuto come una cosa naturale, impossibile da cambiare.
Come mai solo in questo ambito siamo così fatalisti?
È evidente a chiunque che se si vuole fare il neurochirurgo, c’è bisogno di dedicare anni allo studio e alla pratica della medicina.
Chi decide di suonare il pianoforte si impegna a ripetere per ore e ore le scale musicali.
Persino chi vuole diventare un body builder si sottopone ad uno sforzo incredibile, una alimentazione più che monotona e un regime di allenamento estremamente intenso per “mettere su muscoli”.
Come mai non è altrettanto evidente che per allenare qualità mentali positive come la felicità, la serenità e l’altruismo serve lo stesso impegno?
Come diceva, in maniera estremamente essenziale, un maestro di meditazione, “vuoi capire come lavora la tua mente? Siediti e osservala”.
In questa semplice frase c’è un mondo: c’è la purezza della meditazione, l’assenza di qualunque campanilismo o tradizione specifica.
C’è un concetto fondamentale: l’essere umano è lo stesso in ogni luogo, oriente e occidente. La meditazione non è una tecnica orientale ma appartiene ad ogni persona, indipendentemente dal luogo di nascita.
Ed è possibile dirigere questa tecnica, e sintonizzarsi su vibrazioni diverse a nostra scelta.
E così la meditazione può essere quiete interiore e chiarezza, fino a trovare dentro di noi uno spazio sempre silenzioso, anche quando c’è “rumore” e fare l’esperienza della beatitudine; può essere indagine profonda dei meccanismi della coscienza, fino a realizzare, a livello profondo e non solo intellettivo, la realtà dell’impermanenza del tutto e della assenza dell’ego; oppure possiamo coltivare – che è una delle traduzioni di “meditazione” nella lingua tibetana – emozioni positive come la compassione (amore volto alla cessazione della sofferenza di tutti gli esseri).
In trent’anni di ricerca e approfondimento in giro per il mondo, lavorando con maestri di diverse culture, non ho mai incontrato un mezzo più potente della meditazione pura. Essa è Sadhana, un percorso interiore volto alla realizzazione della nostra natura divina. Ogni essere umano in qualche modo ricerca la trascendenza, l’andare al di là del piccolo ego.
E se in ogni era questo è stato importante, oggi mi sembra che lo sia ancora di più.
C’è bisogno di crescere come esseri umani, di andare al di là della nostra piccola realtà individuale.
Come diceva Alessandro Bergonzoni, bisogna fare voto di vastità!
Namaste.