abhyasa e vairagya

“abhyasa vairagya abhyam tan nirodhah”

questo dice Patanjali nei suoi Yoga Sutra:

lo stato di yoga si ottiene bilanciando lo sforzo continuato, la pratica ripetuta

e l’imperturbabilità, la capacità di lasciar andare consciamente.

 

ci sono molte traduzioni possibili, molti livelli per comprendere questa frase, oggi scegliamo il seguente:

abhyasa e vairagya sono spesso paragonate alle ali di un uccello,

due strutture che per funzionare devono essere utilizzate non solo insieme ma esattamente in sincrono,

strettamente collegate l’una con l’altra.

 

ci sono due scuole di pensiero nella meditazione, due scuole principali almeno.

una ritiene che lo stato di illuminazione si ottiene attraverso la pratica continua.

la meditazione costante è un esercizio fondamentale che ci fa camminare sulla via verso l’illuminazione.

l’altra scuola di pensiero è quella che dice che l’illuminazione avviene in un lampo,

perché è già dentro di noi e lo sforzo per cercarla in realtà ci porta lontani da essa.

ovviamente tutte e due le scuole hanno perfettamente ragione…

 

senza sforzo non c’è miglioramento, senza capacità di lasciar andare non c’è raggiungimento.

mentre scrivo altri livelli mi vengono in mente,

e comprendo quanto la struttura dei sutra sia geniale,

nel loro racchiudere in poche parole insegnamenti enormi.

probabilmente potremmo restare su un concetto del genere per tutta la vita o quasi.

ma rimaniamo sul livello scelto.

 

lo sforzo, la pratica costante, non deve essere immaginata come un corso di laurea,

un periodo in cui esame dopo esame “copriamo” il campo di conoscenze dello yoga,

come ad esempio in economia e commercio studi ragioneria I e II, matematica, merceologia, economia aziendale ecc.

questa purtroppo è la tendenza che spesso prevale al momento:

sempre nuove posizioni o tecniche da imparare, sempre nuovi limiti fisici da superare ecc.

sforzo costante è l’impegno profondo ad approfondire la pratica,

senza cadere proprio nei tranelli della mente, dell’ego, che ci propongono nuove cose,

che ci tengono in superficie invece di farci andare in profondità.

e lo yoga sa che l’unico modo per affrontare una “tensione” come quella che ci prende quando la mente

si rifiuta di rimanere nella difficoltà – anche solo percepita – è proprio vairagya, la consapevole capacità di arrendersi, di lasciar andare.

questo credo sia il passo più importante.

 

un esempio preso dal mio percorso personale.

qualche anno fa stavo studiando la tecnica di Naikan (che ti invito a provare!)

e quindi la stavo ricevendo dal mio maestro, provandola da “paziente”.

è una tecnica straordinaria, che attraverso l’atto di caricare energicamente il corpo oltre il limite normale,

evidenzia lo stato dei nostri chakra e ci aiuta a formare una mappa chiara del nostro stato interiore.

facendo questo, ci mette davanti a ciò che non vorremmo forse vedere, ai nostri punti non risolti.

ero da oltre due ore immobile sul lettino, con gli occhi chiusi, respirando in maniera potente,

e già molte immagini si erano presentate, mostrandomi connessioni che non ero in grado di cogliere nello stato naturale.

ad un certo punto il mio corpo iniziò a tremare e sentirsi totalmente a disagio.

mi risultava impossibile non muovermi e cercavo con piccole contrazioni di passare oltre questo punto.

il mio maestro, con grande acutezza, colse esattamente lo stato in cui ero e disse

“se senti di muoverti possiamo interrompere” e io, incredulo dissi “davvero, posso?”

al che rispose “ovviamente sì, se diventa davvero impossibile.

certo, perderesti tutto quello che hai raggiunto fino ad ora!”

questa frase mi spinse a guardare più in profondità e cercare di capire se il mio disagio fosse davvero impossibile da affrontare.

quando lo guardai con tutto me stesso, riuscii ad arrendermi ad esso.

all’improvviso, e vi assicuro proprio all’improvviso, smisi di tremare e non ebbi nessun bisogno di fermarmi.

 

possiamo arrenderci alla difficoltà, e scopriremo che in realtà

quello che stiamo facendo è arrenderci alla nostra RESISTENZA alla difficoltà.

a quel punto la difficoltà, come ogni cosa, scivolerà via.

è solo un istante, non può rimanere…

imparare a stare nel disagio è una delle opportunità di crescita più grandi che ci siano.

 

questo è l’unico motivo per cui nel nostro Yoga Destrutturato studiamo posizioni complesse o faticose,

per metterci in una situazione controllata davanti a un piccolo disagio

e vedere quanto riusciamo a rimanere, e rimanere imperturbabili davanti a quel disagio.

perché, diciamolo, molto probabilmente nella nostra vita ci troveremo costretti ad affrontare disagi ben peggiori.

eppure so per esperienza diretta che le qualità che apprendiamo nella pratica sono assolutamente trasferibili nella nostra vita.

(in realtà, ciò avviene perché non si tratta di acquisire nuove abilità,

ma di togliere confusione, e anche su questa frase potremmo rimanere per molto tempo).

 

un consiglio per la pratica, a questo punto.

e vorrei scriverlo in poche parole, perché ritengo sia molto importante.

utilizza abhyasa e vairagya, lo sforzo e l’arrendersi, la pratica costante e l’imperturbabilità per trovare la Pratica Perfetta.

collegati ad un concetto fondamentale nello Yoga Destrutturato che è quello di funzionalità pura.

nessun movimento che non sia il perfetto movimento, nessuna opportunità per il corpo di perdere l’essenzialità.

se osservi un albero, la sua bellezza è funzionalità pura. non c’è nonostante la funzionalità ma viene da essa.

spero che questo concetto sia di ispirazione per te per le prossime lezioni insieme.

Ayubowan


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