l’importanza del Sangha

parlavo giusto ieri con una allieva del concetto di sangha.

come disse il buddha gotama, 3 cose sono fondamentali:

il buddha, il dharma, il sangha.

la consapevolezza dell’illuminazione, dell’uscita dalla sofferenza,

la consapevolezza della strada che porta fuori dalla sofferenza,

e la comunità di monaci che insieme affronta il viaggio.

quando ci riuniamo per i nostri incontri di meditazione, stiamo formando un sangha.

quando partecipiamo ad un ritiro fuori, stiamo formando un sangha.

anche quando partecipiamo ad una “semplice” lezione in palestra stiamo formando un sangha.

la cosa importante da notare, per iniziare, è che la differenza tra questi esempi sta nel grado di distanza che teniamo dagli altri.

se parliamo di una lezione in palestra, la situazione è questa:

vieni da una giornata che, nella maggior parte dei casi,

tra lavoro, traffico arrabbiature ecc, ti ha portato ad accrescere la sensazione di distanza con gli altri, i confini dell’ego.

nulla di male, è solo sopravvivenza.

anche quando vieni a meditazione hai passato la stessa giornata,

ma la natura stessa della lezione ti porta, rispetto ad una classe di yoga “fisico” nell’ambiente di una palestra,

a rendere più labili i confini dell’ego, a metterti maggiormente in discussione.

nel ritiro, la possibilità è ancora maggiore,

sia per lo spazio che dedichiamo alla pratica,

sia per l’ambiente, staccato dalla nostra vita “comune”,

sia per la vicinanza con le altre persone.

è splendido, quando organizzo questi gruppi,

vedere come persone di differente età e differente estrazione sociale si integrano al di là della superficie.

ma cos’è il sangha esattamente? cosa racchiude questo concetto?

in un monastero il termine sta a significare la comunità dei monaci.

ma c’è un senso più profondo, e credo fortemente che noi dobbiamo sempre rifarci a quello.

 

si dice che l’errore più grande che commettiamo sia quello di giudicarci superiori agli altri.

o di giudicarci inferiori agli altri.

o di giudicarci uguali!

quando consideriamo le cose dal punto di vista della nostra “piccola mente”,

ci ritroviamo nel mondo della dualità.

l’ego, la mente, dividono e classificano. questo sì, questo no.

è un meccanismo di sopravvivenza, e come tale va accolto.

nella comparazione, spesso ci giudichiamo migliori degli altri.

a volte ci consideriamo peggiori degli altri.

nella migliore delle ipotesi, quando ci sentiamo ispirati,

ci consideriamo uguali agli altri.

è ovviamente un passo avanti, è una condizione elevata,

pensare che ogni essere umano sia nato uguale e abbia gli stessi diritti degli altri.

oggi sembra il punto di arrivo della nostra civiltà.

il fatto che lottiamo ancora per questi basilari diritti dimostra semplicemente

quanto basso è il livello di coscienza attuale della nostra specie,

(anche se è vero che siamo migliorati).

il concetto di sangha ci spinge al confronto con gli altri,

è una magnifica occasione per confrontarci al di là dell’ego,

con persone che stanno facendo il nostro cammino.

è una situazione controllata in cui allenare la parte più vera di noi.

quale opportunità splendida!

per questo motivo dovremmo sempre ringraziare la possibilità di avere un sangha.

ma facciamo un’altra considerazione

il sangha c’è sempre.

la relazione con gli altri c’è continuamente.

e gli altri non sono solo gli altri esseri umani, che piccoli che siamo a fermarci ai nostri fratelli di razza!

fare parte di un sangha non è una azione, ma un riconoscere.

l’azione arriva dopo.

 

come?

parafrasando JFK, non chiederti cosa l’altro può fare per te, ma cosa tu puoi fare dell’altro.

non sarebbe splendido se ci ricordassimo ogni giorno di fare qualcosa per un’altra persona?

donargli un sorriso o un gesto di condivisione?

è una bella pratica, che ti invito a provare e soprattutto MI invito a ricordare.

 

tornando alla frase di prima, il senso più puro è che il mondo dell’ego divide e confronta.

l’ego è ciò che crea e ha bisogno di differenze.

la verità è che possiamo smettere di pensare a me e te come separati

(questo è ciò che si intende qquando nello yoga si parla di avidya, ignoranza: cattivca percedzione)

non siamo separati, come le onde non sono separate le une dalle altre.

certo, puoi riconoscere il fatto che le onde sono distinte,

questo è un aspetto della realtà,

ma non perdere di vista il fatto che la realtà ultima è l’oceano,

che si manifesta come un’onda o l’altra di volta in volta.

allo stesso modo, ad un livello esistiamo io e te,

ma la realtà ultima è riconoscere la Presenza, che si manifesta come me e come te.

 

come possiamo fare questo?

nessuna parola che diciamo viene da una filosofia mentale o sterile.

tutto nasce dalla pratica. e alla pratica riconduce.

Yoga destrutturato, Wuchan e tutti gli approcci che espandono la consapevolezza mirano a questo.

cogliere l’oceano nello sfondo e non solo l’onda in primo piano.

 

e sai perché?

ti lascio con una citazione meravigliosa di Osho (di cui oggi, 11 dicembre, ricorre l’anniversario della nascita):

 

“you belong! you are not a stranger.

you are not accidental;

you are intrinsically needed.

remember, the greatest need in life is to be needed,

and if you can feel that the whole existence needs you,

you will become tremendously cheerful.”

 

“tu appartieni! non sei un estraneo.

non sei qui per caso;

sei intrinsicamente fondamentale.

ricorda, il bisogno più grande è essere necessari,

e se tu riesci a cogliere il fatto che l’intera esistenza ha bisogno di te,

diventerai tremendamente allegro.”

 

avevo ragione a dire che era meravigliosa?

tuo nel sangha,

takai


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